[FAN FICTION] Yu-Gi-Oh! - il Magazzino dei Mondi

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    Trama generale.
    Una grande città, con i suoi abitanti. Persone come tante altre, così esperte del Duel Monsters che se un tizio al supermercato dicesse loro “Le offro due bustine di Uovo Mostro e in cambio mi prendo il suo Cavaliere del Drago Finale” accetterebbero senz’altro. Vivono esistenze apparentemente normali, ma un giorno qualcosa di catastrofico irrompe nella loro vita e i loro destini si incrociano. Perché? Cosa nasconde il loro passato? E in che modo la loro sorte è legata al Re dei Giochi, il Faraone Senza Nome?


    Premessa importante.
    Sono stato colto da ispirazione e ho scritto questa fanfiction. Mi è piaciuto scriverla, quindi adesso la pubblico sperando a qualcuno piaccia leggerla. (E se qualcuna delle “persone speciali” me lo consentirà, la pubblicherò anche altrove). Ma se qualcuna delle “persone speciali” aventi diritto di lamentarsi si lamenterà, allora la cancellerò. Mi dispiacerà (perché l’ho già scritta QUASI fino alla fine), ma è giusto così: mi è stato insegnato che la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri.

    Questa fanfiction è…
    ...un regalo di buon 2013 in ritardo, o se preferite un regalo di Natale (o di… Fine del Mondo Maya!) in super-ultra-ritardo... per certe "persone speciali"
    ...un ultimo giro di valzer in un salone sontuoso ma abbandonato, eppure ancora ricco di storia (e storie), come in quel film di Don Bluth.
    ...un lampadario distrutto che, come in quel film di Joel Schumacher, magicamente risale fino al soffitto e lì si salda, ritorna nuovo e si riaccende. In ricordo dei vecchi tempi.
    Questa storia è dedicata a... qualcosa, e qualcuno. Cosa, chi? Lo scoprirete strada facendo.

    Attenzione 1
    Questa storia è ricca di “colpi di scena telefonati a centinaia di pagine di distanza” (mi sto autocitando, dal capitolo 7, ma ancora voi non lo sapete). Se, ad un certo punto, capite dove voglio andare a parare, non scrivetelo subito nei commenti: mettete il tag spoiler o mandatemi un messaggio privato (io comunque non confermerò né smentirò eventuali congetture, se non alla fine).
    Attenzione 2
    Questa storia potrebbe contenere riferimenti a fatti avvenuti in altre fanfiction; è probabile quindi che certe parti possano risultare oscure a chi non le ha lette, però non posso dire quali per non rovinare i “colpi di scena telefonati a centinaia di pagine di distanza”.

    E ricordate che... “Fa parte della cultura giapponese farsi del male” (Mai Dire Banzai)
     
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    Yu-Gi-Oh! – il Magazzino dei Mondi



    PROLOGO
    CAPITOLO 1 – Combatti o fuggi [The Law of the Normal]
    CAPITOLO 2 - Le vite degli altri [Ambulanceroid]
    CAPITOLO 3 – Viale delle Palme [Copycat]
    INTERLUDIO – PUZZLE DEL MILLENNIO – Parte I
    CAPITOLO 4 - La stazione centrale [Ordeal of a Traveler]
    INTERLUDIO – PUZZLE DEL MILLENNIO – Parte II
    CAPITOLO 5 – Tutto ad un tratto la porta fa slam... [Battle-Scarred]
    INTERLUDIO – PUZZLE DEL MILLENNIO – Parte III
    CAPITOLO 6 – Così parlò Bellavista [Philosopher's Stone - Sabatiel]
    INTERLUDIO – PUZZLE DEL MILLENNIO – Parte IV
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte I (Non devi avere paura)

    CAPITOLO 7 - Lorem Ipsum [Incandescent Ordeal]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte II (Scegli, Re dei Giochi)
    CAPITOLO 8 – L’ospedale [Injection Fairy Lily]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte III (Che dovresti conoscere bene)
    CAPITOLO 9 – Discesa nel maelstrom [Gravity Bind]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte IV (Tutti e nessuno, nessuno e tutti)
    CAPITOLO 10 – ...Dritta sicura si mormora che i cannoni hanno fatto bang [Crevice Into the Different Dimension]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte V (Tre semplici parole)
    CAPITOLO 11 – Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai [Graceful Charity]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte VI (Puoi ancora arrenderti)
    CAPITOLO 12 – Ciappola [Self-Destruct Button]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte VII (In cambio della Piramide)
    CAPITOLO 13 – L’argano e l’arma da fuoco [Seven Tools of the Bandit]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte VIII (Io non provo emozioni)
    CAPITOLO 14 – Il cattivo non ammazza all’istante, prima ti fa un discorsetto [Bazoo the Soul-Eater]
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte IX (Non cantare vittoria)
    MARBLE HALL ORDEAL – Parte X (Non nel breve periodo, almeno)

    CAPITOLO 15 – Semidei a confronto [Dark Magician Girl]
    INTERLUDIO – IL SEGRETARIO DELLA PICCOLA DITTA (Prima Parte)
    CAPITOLO 16 – Il cigno bianco [Neko Mane King]
    INTERLUDIO – IL SEGRETARIO DELLA PICCOLA DITTA (Seconda e Ultima Parte)
    CAPITOLO 17 – Sei vero o no? Non lo so. Ma ti ho voluto bene [Weather Report]
    CAPITOLO 18 – Asso pigliatutto [Magical Pigeon]
    CAPITOLO 19 – Tutti giù per terra [Berserk Gorilla]
    CAPITOLO 20 – Musica maestro [Dimension Fusion]
    CAPITOLO 21 – Soffio Esplosivo di Distruzione [My Body as a Shield]
    CAPITOLO 22 – Alla memoria dell’eroe-campione M. McLaren [Goddess with the Third Eye]
    CAPITOLO 23 – Nomen omen [Premature Burial]
    CAPITOLO 24 – Ricordi perduti [Heart of the Underdog]
    CAPITOLO 25 – Per molti, ma non per tutti [Zure, Knight of Dark World]
    CAPITOLO 26 – Non dire gatto… [United We Stand]
    CAPITOLO 27 – …se non l’hai nel sacco [Last Turn]
    EPILOGO
    TITOLI DI CODA

    Visto che in questa fanfiction non ci sono duelli con le carte c'è UN solo duello con le carte, per consolare gli appassionati ho associato ogni capitolo ad una carta di Duel Monsters. E’ un omaggio a “I cieli di Escaflowne”, dove ad ogni episodio è associata una carta dei tarocchi. I nomi delle carte sono in inglese per distinguerle chiaramente dal titolo del capitolo (ci sono anche carte che sono solo nell'anime).
    Il capitolo 21 è l’unico che abbia il nome di una carta anche nel titolo in italiano.

    Edited by FantasmaDelPassato - 3/3/2013, 14:41
     
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    PROLOGO

    La stanza è scossa da violenti tremiti, la capsula vibra di energia. “Tutti i parametri controllati e nella norma, funzioni vitali dei soggetti OK” dice un tecnico della Kaiba Corporation chino su un pannello di comandi.
    “Tasso di sincronia 61%, rapporto segnale-rumore oltre la soglia critica” annuncia Rebecca, anche lei al lavoro su un computer.
    “Codice 469, sistema pronto. Gente, è il momento! Datemi il GO!” dice un ragazzo occidentale, anche lui alle prese con monitor e tastiera, che indossa una maglietta nera con sopra una misteriosa formula: “e” elevato alla (pigreco“i”) + 1 = 0.
    La capsula fa un rumore assordante, così il ragazzo deve urlare. “Ripeto, confermate il go!”
    Nella capsula, un ragazzo dai capelli scuri terminanti in un ciuffo a punta alza il pollice: Hiroto Honda, anche noto come Tristan Taylor, cerca di ostentare coraggio e spavalderia, ma senza troppo successo. Gli capita di rado di trovarsi sotto i riflettori, e preferirebbe di gran lunga essere da un’altra parte, poter restare “sugli spalti a fare il tifo”, come sempre.
    Accanto a lui, una ragazza con i capelli castani tagliati a caschetto ripete “Non so se riuscite a sentirmi, ma per me è GO!”: anche lei, Anzu Mazaki, anche nota come Tea Gardner, è inquieta, ma il suo coraggio e la sua determinazione sono più concreti di quelli di Tristan. Completa il gruppo dei Tre Viaggiatori un “eroe” insolito, un uomo in giacca e cravatta con occhiali da sole: il signor Isono, anche noto come Roland. Finge contegno e compostezza, ma è il più spaventato dei tre. Non è abituato ad avventure rischiose, lui è solo l’assistente di Seto Kaiba, cura l’organizzazione di tornei alla KaibaCorp: però con un insolito slancio ha insistito per andare al posto di Mokuba.
    “Sincronia 99%. Controllo portanza del segnale pirata OK, controllo variabili d’ambiente OK, stabilizzazione coordinate Magazzino dei Mondi OK” dice un altro tecnico KC.
    Mokuba, Sugoroku/Solomon, il professor Hopkins/Hawkins e altri personaggi a caso osservavano la scena con trepidazione. E’ una missione pericolosa e tutti lo sanno, ma non c’è altra soluzione.
    “Controllo finale: ALL GREEN” dice Rebecca. “Pronti al lancio!”.
    “LANCIARE!” dice il ragazzo con la formula sulla maglietta. E intanto pensa.

    “Nduma! Riassunto della puntata di oggi” pensava il ragazzo con la formula sulla maglietta “Un vecchio nemico che credevamo si fosse praticamente sconfitto da solo è tornato a dare fastidio. Per eliminarlo occorrono le Carte, ma per maneggiare le Carte occorrono Eroi. E al momento gli eroi sono tutti MIA: Missing In Action.”


    “Sincronia 100%. Inizio smaterializzazione” dice Rebecca.
    La capsula viene avvolta da una luce rossa pulsante, da lampi crepitanti di energia e da tutto ciò che riuscite a immaginare che faccia spettacolo.
    “Ahhhiiii!” urla Tristan portandosi la mano all’occhio destro. D’un tratto anche Tea e Roland fanno la stessa cosa.
    “Attenzione, attenzione, rilevata interferenza, probabile presenza di sistema ICE anti-intrusione!” grida uno dei tecnici KC.
    “Annullare la missione, annullare la missione!” dice Rebecca.
    “NO!” urla Tea da dentro la capsula. “Non annullate! Noi vogliamo andare!”. Al sentire la ragazza che usa il plurale, Roland e Tristan fanno una smorfia, ma Tea li ignora “Noi DOBBIAMO andare!”
    “Ragazzi, è troppo pericoloso!” dice il ragazzo con la formula sulla maglietta “Il Magazzino dei Mondi è in qualche modo protetto... c’è una specie di virus, vi potrebbe distruggere!”
    “Bisogna annullare e ritentare in un altro momento” prosegue Rebecca.
    “Non ci sarà un altro momento!” ribatte Tea “Dobbiamo agire ora o mai più!”
    Il ragazzo con la formula sulla maglietta prende una rapida decisione. “Rebecca, apri la capsula”
    “Eh? Siamo già a smaterializzazione iniziata, non posso aprire” risponde lei stupita.
    “Aprila solo due secondi, entrerò in fretta”. Si porta le mani alla nuca, armeggia un secondo e poi consegna alla ragazza un oggetto che non vediamo. Rebecca lo prende meccanicamente, senza neanche guardarlo, perché sta ancora fissando il ragazzo negli occhi:
    “Ti ha dato di volta il cervello? è pericoloso, perderanno la sincronia e...”
    “... e il virus non li potrà colpire, non subito almeno. Rebecca, fidati di me, so quello che faccio, quando sarò dentro potrò manipolare le loro equazioni portanti e fonderle con la mia, e se non bastasse applicherò la stasi atemporale!”
    “Sei pazzo, non sei sicuro che possa funzionare”
    “E’ l’unica possibilità che abbiamo, Tea ha ragione. E se diventiamo quattro in uno, avremo più probabilità di resistere al virus!”
    Il vecchio Sugoroku (o Solomon che dir si voglia) si avvicina e gli posa la mano su una spalla “Non farlo, ragazzo, è troppo pericoloso”
    “Vuoi rivedere vivo tuo nipote sì o no? Ho contribuito a costruire quella macchina” risponde il ragazzo occidentale “Quindi è giusto che io condivida il rischio con loro” poi, a tutti i presenti “Fidatevi di me, posso farcela, posso manipolare le equazioni da dentro”
    Rebecca è riluttante, ma alla fine prende la decisione. “Vai allora, hai due secondi!”
    Il ragazzo con la formula sulla maglietta esce da dietro la barriera protettiva antiradiazioni e corre al portello con uno scatto da centometrista, Rebecca preme un pulsante, il portello si apre di pochissimo e il ragazzo sguscia all’interno, poi lo sportello si richiude con un forte clangore metallico.

    “Dicevo, al momento gli eroi sono tutti MIA: Missing In Action. Ci vuole un cavaliere senza macchia né paura che risolva questa bazzecola, questo temporaneo inconveniente, e quello sono io.”

    “Tasso di sincronia sceso al 12% per la presenza del quarto soggetto” dice un tecnico KC, “Ripeto la sequenza di sincronizzazione”

    “Ma a chi voglio darla a bere? Non sono un cavaliere, questa non è una bazzecola… e ho paura. E’ solo che non c’erano altri volontari disponibili. Tutti quelli ancora capaci di duellare sono scesi in campo contro il nemico, compresi i più fifoni, sì, parlo dei due fanatici di insetti e dinosauri. Solomon e Hawkins sono troppo vecchi, Serenity e Mokuba troppo giovani, eccetera eccetera. Tocca a noi. Tocca a me. Ho paura, ma andrò, correrò il rischio, in nome dei legami dell’amicizia… e delle avventure vissute insieme. Quant’è vero che mi chiamo…”

    “Tasso di sincronia 100%”

    In quel momento il ragazzo dimenticava il proprio nome. E così anche Tristan, Tea e Roland.

    “Smaterializzazione in corso!”

    “Dove siete, amici?” pensava il ragazzo senza più un nome. “Credete ancora?” il ragazzo svaniva e riappariva da un’altra parte.

    “Attenzione, attenzione, il virus sta corrompendo il segnale!” grida Rebecca, ma è troppo tardi ormai per annullare. E poi loro non vorrebbero annullare.

    “Credete... nel Cuore delle Carte?”

    Edited by FantasmaDelPassato - 26/5/2015, 22:00
     
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    CAPITOLO 1 – Combatti o fuggi

    Duello. Non c’era parola più semplice e meravigliosa. Non c’era termine più intenso e vibrante di significato. Ed entrambi i contendenti lo sapevano. Strinsero la presa sull’elsa e si studiarono a vicenda. Non era la prima volta che si confrontavano, ma in qualche modo sapevano che sarebbe stato lo scontro decisivo. C’era qualcosa nell’aria quella mattina: la sentivano vibrare, quasi bruciare.
    (“COMBATTIAMO!”)
    E duello fu.


    TheLawoftheNormalDR2-EN-C-UE
    (The Law Of the Normal - La Legge della Normalità)

    Il cielo era azzurro. Come ogni mattina, al 7 di Viale delle Palme, Samuele Sartini si aggiustò gli occhiali sul naso, afferrò la borsa, baciò la moglie e si chiuse la porta alle spalle. Mentre l'ascensore dalle pareti rosse scendeva, si guardò allo specchio e constatò di avere gli occhiali sporchi. Ancora non si era reso conto di aver dimenticato a casa il telefono cellulare. Di solito si ricordava sempre di metterlo nell'apposito taschino della borsa la sera prima. Era un tipo abitudinario, di quelli che se osi deviare di un millimetro da
    (un Rituale)
    un'abitudine ti guardano come se avessi provocato una catastrofe.
    Per cui ricordava sempre il telefonino. Quel giorno non lo fece, e quel giorno avvenne la catastrofe.

    I duellanti stavano dimostrando tutto il loro valore. Fecero una pausa, per riprendere fiato. Avrebbero tanto voluto guardarsi negli occhi, come cavalieri medievali, nemesi l’uno dell’altro, che si affrontano in singolar tenzone. Guardarsi negli occhi senza quelle scomode maschere. Ma dovevano indossarle. Era il regolamento.
    Il duello riprese.


    Mariano si tolse gli occhiali e prese il panno per pulirli, mentre la musica fluiva dal lettore MP3 direttamente nella sua anima.
    Quando indossò nuovamente gli occhiali, guardò oltre il finestrino: il mare brillava di luce tremolante, ma ancora il Sole si nascondeva dietro i monti a est. Il treno si mosse e Mariano strinse le palpebre, pensando che "il mare luccica" gli ricordava qualcosa, ma non riusciva a mettere a fuoco che cosa. (C’entrava anche il vento che “tira forte”?). Sul finestrino c’era un buffo adesivo mezzo strappato, un anatroccolo ed un cigno che si guardavano negli occhi.
    Anche se era mattina, il ragazzo era in debito di sonno. I riflessi bianchi sul mare azzurro si persero nel nulla quando il biondino, nonostante la musica rock nelle cuffiette, chiuse gli occhi, che avevano lo stesso colore del mare. “Non devo dormire. Potrei scendere alla fermata sbagliata” pensò, ricordando un racconto di Italo Calvino letto da bambino, che doveva essere umoristico ma l’aveva terrorizzato a morte, come il peggiore degli horror.

    I duellanti erano entrambi ben allenati, agili e svelti. Con un’abile
    (bluff)
    finta, quello più alto e con i capelli castani colpì l’avversario.
    “Sei molto migliorato, Scatto” disse l’altro, quello più basso di statura e con i capelli neri. E approfittando dell’attimo di distrazione di Scatto, gli rese la pariglia.
    “Anche tu, Melk, a quanto vedo” rispose Scatto, che si era tirato indietro con rapidissimo movimento del busto, degno del suo soprannome: tuttavia non abbastanza rapido da evitare la punta dell’arma di Melk.
    Lo chiamavano “il duello dei nobili”, anche se nobili non erano (eccetto d’animo), per via dei loro cognomi con il “de”. De Lorenzo contro De Gra-Peli. Ma loro preferivano chiamarsi con i soprannomi: Scatto e Melk.
    Il duello riprese
    .

    Sulla grande parete di vetro campeggiava la scritta "OLLECOLAM OTTORAZNAL ELANOIZANRETNI OTROPOREA".
    Mentre giocherellava nervosamente con la fibbia della cintura, Bianca esibì il suo sorriso più sexy all'operatore dello sportello "Lost and found", ma costui non sembrava minimamente affascinato. Almeno, non a tal punto da far riapparire magicamente la valigia della ragazza, oscuro oggetto del desiderio che il quel momento probabilmente era in volo per Bangkok o qualche altro paese esotico.
    Per aggiungere al danno la beffa, il suo contatto, l'inviato del direttore, non si era presentato al terminal a riceverla come concordato. Aveva provato tutti i numeri che aveva in rubrica: “Lorem Ipsum fisso 1”, “Lorem Ipsum fisso 2”, “Lorem Ipsum cell”: suonavano tutti a vuoto. Mentre compilava il modulo di bagaglio smarrito, Bianca cercò di ricordare il sogno che aveva fatto
    (versi da ogni direzione - agguato - donna sorriso enigmatico - grandi ali bianca nera angelo demone)
    quando si era brevemente appisolata sull’aereo, ma era tutto molto vago.
    Fissando il foglio di carta, la ragazza compresse le labbra, come faceva sempre quando decideva di non arrendersi. Perché lei non si arrendeva. Mai. Si alzò e si sistemò la cintura.
    Attraverso la grande parete di vetro si vedevano il cielo e il mare, di un azzurro che mozzava il fiato, ma Bianca non vi badò.

    I duellanti lottavano senza sosta. Le armi si incrociavano rapidissime. Erano spadoni da cavaliere medievale, erano katane da samurai, erano sciabole da pirata, erano le lame laser dei Jedi.
    Questo almeno nella loro immaginazione. Poco importava se in realtà erano fioretti dalla punta smussata. Quello era comunque il loro duello, il loro scontro all’ultimo sangue.
    Avrebbero dovuto accorgersi che qualcosa non andava quando le armi, durante una spettacolare parata, sprizzarono vistose scintille. Forse qualcuno tra il pubblico trovò la cosa strana, ma non lo diede a vedere. I due coetanei, Scatto e Melk – De Lorenzo e De Gra-Peli – continuavano il duello. Sentivano l’adrenalina pompare nel sangue.
    Fight or flight. Combatti o fuggi.
    Frequentavano entrambi le scuole superiori e l’avevano studiata: “lotta o scappa”, la reazione primordiale alla minaccia.
    Ma... fuggire? Loro? Mai. Anzi, avrebbero voluto potersi avvicinare ulteriormente, per lottare con ancora maggior furia.
    Però non potevano avvicinarsi: le loro sedie a rotelle erano saldamente fissate alla pedana con intelaiature metalliche, bloccate ad una distanza fissa, “a portata di braccio” per così dire, a formare un angolo di esattamente 110 gradi.
    “Il Mister sarà fiero di me” pensarono entrambi.
    Ad un certo punto a tutti i presenti – saranno state sì e no un centinaio di persone – capitò una cosa strana. Una visione. Per un attimo la grande palestra fu sostituita da
    (un immenso stadio, gli spalti gremiti, con al centro una strana piattaforma con immagini semitrasparenti, e c’erano due persone ai bordi, ma non erano Scatto e Melk, perché erano in piedi, però anche loro ad una distanza fissa, e avevano in mano...).
    niente, niente.
    Il tifo era alle stelle. I più agitati erano i rispettivi allenatori, visto che dall’esito dello scontro dipendeva il prestigio dei loro club. Uno di loro si alzò in piedi: portava in spalla una chitarra classica e sventolava una bandiera rossa e nera, con disegnata la testa di un grosso cane da caccia, un po’ bloodhound e un po’ mastiff, con espressione feroce e occhi di fuoco, come uscito dall’inferno. Sulla bandiera c’era la sigla “Associazione Sportiva Baskerville”
    Melk gli lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio, sorrise (anche se sotto la maschera non si notava molto) poi riportò l’attenzione sul duello.
    Le sedie a rotelle vibravano, insieme alle ganasce che le tenevano ferme, sottoposte a grande tensione, in risposta ai veloci movimenti di busto e braccia dei due schermidori paraplegici. Ad un tratto anche sotto le carrozzelle apparvero scintille. A qualcuno parve addirittura di vedere una fiamma. Ma nessuno osava interrompere lo scontro
    .

    Il cielo era azzurro. Come ogni mattina, appena uscito dal 7 di Viale delle Palme, Pietro Sanguineti si aggiustò gli occhiali sul naso e si voltò. Alzò lo sguardo verso la finestra lato nord e mosse la mano per salutare la moglie, ma alla finestra non c'era nessuno. Niente di strano, pensò. A volte i bambini sono "alquanto impegnativi", per usare un eufemismo. Peccato però, era uscito di fretta e non aveva avuto il tempo di dare un bacio né a Lucia né ai figli. Si rese conto di aver dimenticato per l’ennesima volta di cercare il pupazzetto di Barbapapà perso dal piccolo Stefano la settimana scorsa, che non si riusciva a trovare da nessuna parte. Non si rese conto di aver dimenticato il telefonino, non subito almeno. Riportò lo sguardo sulla strada e proseguì verso il proprio destino.

    I duellanti continuavano a combattere. Ad un certo punto però accadde qualcosa. Melk guardò l’avversario e vide i suoi occhi brillare sotto la maschera. Occhi blu. Occhi blu? Impossibile. Scatto aveva gli occhi marroni. Sbattè le palpebre. Scatto era sempre davanti a lui e i suoi occhi non brillavano affatto. Uno scherzo della sua immaginazione? Scatto ne approfittò per mettere a segno una buona stoccata, e Melk si preparò a rispondere. Si sentiva strano. Molto strano. Gli sembrò di avvertire uno strano dolore, ma non capiva dove. Si lanciò all’attacco con un’energia mai vista, i fioretti scintillarono, le basi delle sedie a rotelle scintillarono, e mentre Melk toccava Scatto segnando un altro punto, le ganasce che li tenevano bloccati si spaccarono.
    Le ruote giravano libere. Scatto fu respinto via dalla potente stoccata unita al suo tentativo di evitare il colpo e si ritrovò quasi in bilico sul bordo della pedana, ma con una mossa velocissima lanciò in aria il fioretto e con entrambe le mani afferrò le ruote, frenando appena in tempo, tenendo fede al suo soprannome. Una cosa simile successe a Melk, proiettato all’indietro dal principio di azione-reazione. I duellanti afferrarono al volo le armi puntandole contro l’avversario in segno di sfida. Scatto si strappò la maschera (gli occhi erano sempre marroni) e fece il gesto della mano che significa “fatti sotto”, come Bruce Lee, o come Morpheus in Matrix, invitando Melk a riprendere la lotta. Anche Melk si scoprì il volto. I suoi occhi erano neri come i capelli. Reggendo i fioretti con i denti, usarono le mani per spingere le ruote e dare velocità alle carrozzine.
    L’arbitro avrebbe dovuto fermare questa assurdità, ma era paralizzato dallo stupore. Una cosa del genere non si era mai vista prima. I due allenatori si diedero una mossa e cercarono di intervenire, ma in quel mentre anche gran parte del pubblico si alzò (quelli che non erano a loro volta in carrozzella, si intende), e molti venirono avanti e circondarono la pedana intensificando le urla e il tifo, come impazziti. Gli allenatori non riuscirono a raggiungere la pedana.
    Quando Scatto e Melk furono vicini afferrarono le armi e ripresero a combattere.
    E Melk li vide di nuovo. Vide di nuovo brillare gli occhi dell’avversario, di una luce intensissima. Occhi blu. OCCHI BLU. E si preparò a colpire
    .

    Gli occhi blu di Gianni Gemellini mostravano tensione e decisione. (Vogava. Vogava. Vogava) A dire il vero di solito non aveva gli occhi blu, erano neri, ma in quel momento lo sarebbero sembrati a chiunque l’avesse guardato in faccia, forse perché riflettevano il blu del mare, forse il blu del cielo? (Vogava. Vogava. Vogava). Ma non c’era più nessuno a guardarlo. Un momento prima era vicino alla costa, un momento dopo si era perso in mare aperto.(Vogava. Vogava. Vogava)
    Un momento prima quella era una gara di beneficienza, un momento dopo era una gara contro il destino. E forse la stava perdendo.
    Tuttavia non smetteva un minuto di remare. La sua barca bianca scivolava sull'acqua, sopra il blu del
    (Umi)
    mare, sotto il blu del cielo, come avesse le ali. La spuma del mare formava due grandi ali bianche ai lati di Gianni. Non sapeva bene dove stava andando, sapeva solo che doveva arrivare in tempo.

    I duellanti combattevano sulle sedie a rotelle libere dalle ganasce, con una velocità sorprendente. I fioretti ormai emettevano scintille ogni volta che anche solo si sfioravano. Le gente guardava estasiata, domandandosi come facessero a governare le carrozzine e contemporaneamente reggere le armi. Era quasi come se le sedie obbedissero alla loro volontà e si muovessero da sole, mentre loro erano impegnati a incrociare le lame. Melk allungava il proprio vantaggio ad ogni affondo, ma ancora avvertiva quel senso di oppressione, quel malessere generale, quella spaventosa sensazione di imminente catastrofe.

    Il cielo era azzurro. Come ogni mattina, alla curva in fondo al Viale delle Palme, l’ingegner Lino Conca si aggiustò gli occhiali sul naso e alzò lo sguardo verso la finestra lato sud, per controllare se aveva chiuso la tapparella. Sì, era chiusa. E quella nord l’aveva controllata subito dopo essere uscito, ed era chiusa. Aveva inserito l’antifurto? Sì. Solo in quel momento Lino si rese conto di non avere con sé il telefono. Probabilmente lo aveva dimenticato sul tavolo del salotto la sera prima, quando aveva impostato i promemoria. Quella mattina, uscendo, era tutto preso dal nuovo progetto (aveva già in mente gli schemi che avrebbe disegnato) e non ci aveva pensato.
    Che fare? Tornare indietro a prenderlo e rischiare di perdere il treno? O andare in ufficio senza cellulare, rischiando di perdere una telefonata importante? Era una scommessa con la sorte. Una piccola scommessa se vogliamo, ma pur sempre un gioco d'azzardo
    (Una partita a carte)
    contro il destino. Lino fece un passo verso casa e accettò la scommessa. Non lo sapeva, ma sul piatto c'era tutta la sua vita.

    Il duello nella grande palestra era giunto al termine. Melk mise a segno la stoccata della vittoria, un colpo incredibile e violentissimo che fece inclinare e poi cadere la sedia di Scatto. Molte mani si protesero in avanti per afferrare la carrozzella impedendo che il ragazzino picchiasse la testa contro la pedana. Melk voleva alzare le mani per esultare, ma in quel momento il senso di oppressione si fece molto più forte. Percepiva quel fastidio misterioso in tutto il corpo, perfino alle gambe insensibili da anni, poi divenne un dolore pungente che si intensificava e si concentrava nel petto.
    La gente aveva rimesso dritta la sedia a rotelle dell’avversario. Melk guardò Scatto, che aveva un’espressione sconvolta, e vide ancora una volta quegli occhi marroni diventare blu e baluginare come stelle, poi tornarono normali.
    Melk era sempre seduto, ma si sentiva precipitare nel vuoto. Era fermo, ma la palestra girava intorno a lui.
    Con l'ultimo brandello di coscienza percepì il Mister che riusciva finalmente a farsi largo tra la folla e correva verso di lui. Poi il dolore e il capogiro si fecero insopportabili e il ragazzino, Massimo Basilio de Gra-Peli detto “Melk”, perse i sensi
    .

    Mentre accadeva tutto questo, i Tre Viaggiatori cadevano malamente sull’erba: si chiamavano Tea, Tristan e Roland, ma in realtà non avevano più un nome. E avevano anche pochi secondi di vita: il virus li stava per distruggere. Ma il Quarto Viaggiatore, il ragazzo con la formula sulla maglietta, interveniva e fondeva le equazioni portanti. E sceglieva il suo mantra: "5-5-4-5-5-8. Vento Acqua Luce Terra Fuoco Oscurità”. La stasi atemporale iniziava, Tea, Tristan e Roland non sentivano più l’erba sotto di loro: non percepivano più i loro corpi, erano tutt’uno con il ragazzo con la formula sulla maglietta. Finché si aggrappavano a lui potevano resistere al virus, ma la loro coscienza era ridotta al lumicino.
    “Senza nome” pensava il ragazzo.“Buffo. Ero venuto a cercare un Faraone Senza Nome e ora senza nome sono io.”
    Una pausa. “I poteri. Devo usarli”. Altra pausa. Sagome oscure e sagome luminose. Un rapido conteggio. “Otto ne cercavo, ma ne percepisco solo cinque, gli occidentali come me, ma dove sono finiti i giapponesi? E poi perché i cinque occidentali sembrano sette? tutto questo non ha senso!". Poi qualcosa accadeva, qualcosa di strano. "Occhi" pensava, senza capire più dove si trovava e come ci fosse arrivato. "Io sono Occhi. Non ero Occhi prima di venire a salvarvi, amici miei, ora però lo sono e ho dimenticato chi ero prima. I Tre Viaggiatori in stasi resistono al virus... ma ora sta attaccando me. Forse non riuscirò a muovermi da qui... ovunque io sia. La missione sta andando a rotoli”
    Disperazione. Ma poi...
    “Avatar, ho bisogno di avatar. I Tre Viaggiatori mi aiuteranno. Non so cosa riuscirò a fare, ma ce la metterò tutta. Sto arrivando, amici. Tenete duro, sto arrivando".
    Mariano dormiva sul treno, Bianca apriva la portiera del taxi, l'ambulanza stava arrivando, Gianni continuava a remare, la porta del 7 di Viale delle Palme si apriva e Occhi cercava disperatamente di resistere al virus mentre il fuoco iniziava a divorare il mondo
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    Edited by FantasmaDelPassato - 1/1/2017, 21:43
     
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    CAPITOLO 2 - Le vite degli altri

    Sperduto in mezzo al mare sulla sua barca bianca, Gianni Gemellini fece una pausa e scrutò l'orizzonte. Cercava la costa, ma intorno si vedevano solo cielo e mare. Cercava la città, ma tutto ciò che vide fu l'assembramento di nuvole nere in avvicinamento. "Oh m***a!". Trangugiò un sorso di integratore di sali minerali e ripartì.

    Al 7 di Viale delle Palme, Samuele Sartini, tornato indietro per recuperare il telefonino, vide che la porta era aperta. Strano, ricordava di averla chiusa un minuto prima. Entrò in casa e vide dov'è che aveva dimenticato il cellulare: proprio lì sul tavolo del salotto. Stava per prenderlo e andarsene, quando sentì da un'altra stanza una voce chiamare "Lucia!". Una voce MASCHILE. Il tarlo della gelosia iniziò a farsi strada dentro di lui. Da mesi ormai Samuele sospettava che la moglie avesse un amante. Come osava! Fare questo ad un uomo come LUI! Ora finalmente l’avrebbe colta in flagrante. Aveva già sentito quella voce, era molto, molto familiare, ma non si ricordava chi fosse. Una cosa era certa: era una voce estremamente irritante. Questo non poté che accrescere la sua rabbia.
    Invece di andare in salotto a prendere il telefonino proseguì nel corridoio; in quel momento il proprietario della voce uscì dallo studiolo ed entrò nel corridoio, sempre urlando "Lucia! Dove sei? Bambini! Emma, Stefano, il gioco è bello quando d---". Si videro a vicenda e ciò che videro li fece sbiancare.


    Si sentì un fortissimo miagolio e Mariano si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno e capì subito la grossa ca**ata che aveva combinato. Si era appisolato e aveva mancato la fermata giusta per andare al lavoro: il treno era ormai alla stazione centrale. Il biondino raccolse lo zainetto e balzò giù dal treno, senza pensare più allo strano miagolio che l'aveva svegliato. Si sentiva nell’aria uno strano odore di bruciato.
    Che fortuna: il monitor annunciava, in arrivo proprio sul binario accanto, un treno che andava nella direzione opposta. Sarebbe arrivato comunque in orario, evitando una fastidiosa lavata di capo dai superiori.
    Ricordò il racconto “La fermata sbagliata” di Calvino con un brivido nella schiena. Gli amici non capivano come una storiella divertente come quella riuscisse a incutergli tanta paura.
    Una volta un suo amico aveva mancato una fermata ed era dovuto scendere 30 km dopo, un altro era finito in Puglia quando doveva andare nelle Marche: entrambi si erano presi una bella multa, ma raccontavano la disavventura ridendo.
    Ma lui sapeva che se un giorno fosse capitata la stessa cosa a lui, sarebbe stata un’immane catastrofe, un disastro di proporzioni bibliche. Era un pensiero irrazionale, e lo sapeva, ma non poteva farci niente, era un terrore ancestrale che gli causava un vuoto allo stomaco e i brividi alle gambe.
    Squillò il telefonino (“Sometimes I feel / like I live in a dream / Alone in my paradise lost”) e Mariano tornò in sé - si accorse di tremare come un alcolizzato. Si fermò e lo prese dalla tasca: un numero sconosciuto. Rispose: “Pronto?”. Dall'altra parte della linea c'erano voci confuse che si accavallavano, Mariano non riusciva a capire bene quello che dicevano, complice anche la folla e l'altoparlante che annunciava un treno in arrivo al binario undici (che comunque a Mariano non interessava). Capì però che l'interlocutore cercava una donna. Stava arrivando il treno giusto, e Mariano vi sarebbe salito sopra se non si fosse fermato per rispondere al cellulare. Sì, perché mentre riattaccava sbrigativamente con la frase di rito "no, mi dispiace, ha sbagliato numero", sollevò per caso lo sguardo verso la scala mobile, e fu allora che con la coda dell'occhio vide LEI.
    "Abby?" mormorò stupefatto. Un attimo dopo lei non c'era più, sparita tra la calca in cima alla scala mobile, eppure avrebbe riconosciuto quegli "anfibi" tra mille.
    Il treno aveva aperto le porte, ma Mariano non ebbe alcun dubbio: un'occasione come quella valeva mille ramanzine dal boss. Valeva più delle sue ancestrali paure di fermate sbagliate. Dimenticò il treno, l'ufficio, lo strano miagolio (in effetti non si vedevano gatti in giro) e dimenticò anche quello strano odore di bruciato. Il treno chiuse le porte e ripartì senza di lui.

    Al 7 di Viale delle Palme, si sentiva uno strano odore di bruciato: era il latte dimenticato a bollire sul fornello acceso. Pietro Sanguineti lo spense. “Lucia!” chiamò. Nessuna risposta. Non sapeva più che pesci pigliare. Era uscito di casa per due minuti, forse tre. Poi si era reso conto di aver dimenticato il telefonino ed era tornato indietro. Aveva suonato e nessuno gli aveva aperto, così aveva usato la chiave. Però la casa era deserta. Il latte lasciato a bruciare. Moglie e figli erano svaniti nel nulla. Per sicurezza andò a controllare lo sgabuzzino dietro la cameretta dei bambini, ma non c'era nessuno, a parte la solita montagna di cianfrusaglie. Tornò nel corridoio urlando "Lucia! Dove sei? Bambini! Emma, Stefano, il gioco è bello quando d---". Pietro vide l'intruso e l'intruso vide lui, e ciò che videro li fece sbiancare.

    Bianca si era lasciata alle spalle l'aeroporto e sedeva sul sedile posteriore di un taxi, giocherellando con la fibbia della cintura. Dal finestrino osservò un edificio che stava bruciando, con intorno decine di vigili del fuoco che cercavano di domare le fiamme. Ma più i pompieri si davano da fare, più l'incendio divampava, rischiando di espandersi ai palazzi vicini.
    Bianca alzò lo sguardo e vide altri pennacchi di fumo sopra la grande città. Così è la passione, pensò la ragazza. Una conflagrazione, un turbine di fuoco che non puoi soffocare. Non importa cosa accadrà, non importa quali ostacoli dovrò superare, la mia passione arderà sempre: diventerò una scrittrice, o morirò tentando. "Diventerò una scrittrice o morirò tentando? mi piace, è una frase tanto assurda quanto potente, devo ricordarmi di usarla da qualche parte" pensò.
    Il taxi sfrecciava sulla Tangenziale Don Sturzo. Il fuoco non dava tregua ai pompieri. Bianca continuava a rigirare la fibbia della cintura.

    Al 7 di Viale delle Palme, l’ingegner Lino Conca vide che la porta era aperta, sentì un urlo e il rumore di qualcosa che si rompeva. Un ladro? Il primo pensiero fu di chiamare la polizia, ma non aveva il cellulare: quello era in casa, purtroppo. Scappare, magari chiedere aiuto ad un vicino. Poi un’altra idea: entrare in casa, afferrare un ombrello dal portaombrelli subito accanto alla porta, e con quello mettere il malvivente fuori combattimento. Sarebbe finito sul giornale! Senza pensare alla stupidità di quel che stava facendo, si precipitò in casa e allungò la mano, ma afferrò solo l’aria.
    Il vaso portaombrelli di ceramica blu giaceva a terra in frantumi e il contenuto era sparpagliato ovunque.
    Il suo ombrello era cambiato: era bruttissimo, rosso con una macchia blu sul manico, e righe orizzontali nere (aveva un’etichetta con scritto “R.A.S.”). Ma oltre a quello ne vide altri tre che prima non c’erano: uno grande verde e due piccoli rosa e azzurri, come di bambini. Tra i frammenti del vaso c’era anche un buffo pupazzetto rosa, che gli ricordava qualcosa dai tempi dell’asilo; per non parlare dei pezzi di una bizzarra scultura a forma di testa, in cui si leggeva solo la parola “Fowler”.
    Ma fu la vista dei due intrusi che lottavano che lo fece sbiancare
    .

    Massimo Basilio de Gra-Peli detto Melk aprì gli occhi. Giaceva sulla barella. "Che cosa buffa", pensò: "Il Mister si è portato dietro la chitarra. La festa la facciamo in ospedale". Probabilmente un'allucinazione, come quella degli occhi blu. "Occhi blu" disse, ricordando la scena surreale. La persona che gli teneva la mano si chinò su di lui e chiese qualcosa, forse un banale "Cosa?". Massimo sentiva gli scossoni: forse era sull'ambulanza. La persona vicino a lui era probabilmente un paramedico, non certo l'adorato allenatore. Non c'era nessuna chitarra, la vedeva perché la voleva vedere, perché sapeva che l’allenatore l'aveva portata, per la festa che dovevano fare dopo l'incontro di scherma. E vedeva il Mister perché... beh, perché, insomma, il Mister Arzocco era il Mister Arzocco, mica pizza e fichi. Mr Arzocco dal sorriso caldo e dal cuore grande.
    Massimo aveva perso i genitori - e l'uso delle gambe - in un terribile incidente in tenera età, e considerava l’allenatore come un fratello maggiore, anche se non l'avrebbe mai ammesso. La sua vita era stata tremendamente infelice fino al giorno in cui aveva conosciuto lui e il fioretto.
    Era molto stanco, chiuse gli occhi. Ebbe una strana sensazione di formicolio in qualche punto remoto del suo corpo, ma forse il formicolio era in qualche angolo oscuro della mente. Una sgradevole sensazione di qualcosa che vorresti afferrare ma che ti sfugge continuamente, come un sogno al risveglio.
    Aprì gli occhi. La sua immaginazione continuava a mostrargli l'immagine del Mister. Massimo assecondò la propria fantasia e disse all'allenatore: "...i puoi salvare".
    "Certo, Melk" rispose l’altro tizio "Tieni duro, certo che ti salverò".
    Massimo chiuse gli occhi senza rendersi conto che quell’altra persona l’aveva chiamato con il soprannome.
    “Curioso” pensò Arzocco. Per un attimo aveva creduto di sentire "Li puoi salvare" invece che "Mi puoi salvare".
    L'ambulanza sfrecciava in direzione dell'ospedale. L’allenatore Celestino Arzocco continuava a stringere la mano di Massimo. Aveva ancora in spalla la chitarra. Fuori, la città bruciava.

    Ambulanceroid-YSDS-EN-C-1E (Ambulanceroid)

    La radio trasmetteva solo scariche. Gianni Gemellini aveva ripreso a vogare. Sapeva già, anche se non voleva ammetterlo, che ogni tentativo di evitare la tempesta sarebbe stato inutile. Ma nonostante questo continuava a sudare sui remi. Se almeno avesse saputo in che direzione andare. Ma anche la bussola sembrava impazzita. L’altoparlante della radio parlò, per un attimo il cuore di Gianni ebbe un moto di speranza. Ma passò in fretta: aveva captato quello che sembrava uno scadente radiodramma di fantascienza, con eserciti di improbabili mostri giganti (“Duel Monsters”, aveva detto la radio, o aveva capito male?) che attaccavano un posto immaginario chiamato Domino City.
    Guizzò il lampo e subito dopo
    (Raigeki!)
    rombò il tuono.
    “Molto vicino. Troppo.”


    Al 7 di Viale delle Palme, l’ingegner Lino Conca urlò "Chi c***o siete? Fuori da casa mia!", ma non riuscì a chinarsi per afferrare l’ombrello come avrebbe voluto, era paralizzato dal terrore. Si sentiva davvero strano ad urlare queste cose a sé stesso. Anzi, a due copie di lui stesso. Infatti i due uomini che avevano mandato in frantumi il vaso erano assolutamente identici a lui.

    Mentre tutto questo accadeva, il Quarto Viaggiatore, cioè il ragazzo con la formula sulla maglietta, cioè “Occhi”, pensava: “5-5-4-5-5-8. Vento Acqua Luce Terra Fuoco Oscurità. 5-5-4-5-5-8, i miei numeri, perché tutto è numeri. Ora è il momento della verità, amici. Che Dio ci assista. Dio, o le Divinità Egizie, non importa. Se lassù c’è qualcuno, che ci aiuti”.

    Edited by FantasmaDelPassato - 26/5/2015, 22:07
     
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    ok era infinito tempo che non leggevo una fanfiction... e ieri sera ho trovato il tempo per leggere qualcosina di questo... lunghissima poi l'astinenza da YGO, dalle carte e tutto il resto... mi ci vuole un po' per carburare di nuovo

    inoltre è una fanfic diversa da quelle cui ero abituato, scritta molto bene, con tanti cambi di scena che al momento mi hanno un po' confuso, così come tutti quei nomi e cognomi che non memorizzerò mai... per questa ragione ho apprezzato alla grande il Prologo, mentre ho avuto qualche difficoltà a seguire la storia che segue, ma il fatto di non riuscire ancora a capire chi diavolo sia il vero protagonista (probabilmente l'occidentale senza nome) aumenta la curiosità...

    ahi, non ci sono duelli con le carte... peccato, mi piacevano i duelli, era ciò che leggevo e scrivevo con più passione. Niente male però anche il duello dei fiorettisti sulla carrozzella, ho un debole per questi coraggiosi atleti.

    AH, Fantasma, in ritardo ho risposto al tuo MP... sorry
     
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    CITAZIONE (Zure @ 11/1/2013, 11:57) 
    ok era infinito tempo che non leggevo una fanfiction... e ieri sera ho trovato il tempo per leggere qualcosina di questo... lunghissima poi l'astinenza da YGO, dalle carte e tutto il resto... mi ci vuole un po' per carburare di nuovo

    inoltre è una fanfic diversa da quelle cui ero abituato, scritta molto bene, con tanti cambi di scena che al momento mi hanno un po' confuso, così come tutti quei nomi e cognomi che non memorizzerò mai... per questa ragione ho apprezzato alla grande il Prologo, mentre ho avuto qualche difficoltà a seguire la storia che segue, ma il fatto di non riuscire ancora a capire chi diavolo sia il vero protagonista (probabilmente l'occidentale senza nome) aumenta la curiosità...

    ahi, non ci sono duelli con le carte... peccato, mi piacevano i duelli, era ciò che leggevo e scrivevo con più passione. Niente male però anche il duello dei fiorettisti sulla carrozzella, ho un debole per questi coraggiosi atleti.

    AH, Fantasma, in ritardo ho risposto al tuo MP... sorry

    Ciao mitico Zure! Grazie per il tuo commento! Eh, sapevo che l'assenza di duelli non sarebbe stata gradita, volevo provare a mettercene almeno uno, ma proprio non ce l'ho fatta, tieni conto che anche per me vale la pluriennale astinenza da YGO. Considera che facevo fatica a capire cosa intendessero i veterani di questo forum per carte "splashabili" :)
    Come ho accennato nel mio altro post "Lisa Kudrow duellante", in passato avevo progettato una storia epica che doveva contenere un sacco di duelli, ma mi sono arenato presto e non l'ho mai pubblicata (Lisa non me lo ha mai perdonato: da qualche parte nella mia fantasia malata, i Demoni ancora scalpitano agguerriti nel suo deck). Come "contentino" ho associato una carta ad ogni capitolo, ma so bene che non sostituirà mai dei veri duelli con le trappole che scattano, i life points che scendono, e la Draw Phase che va fatta appoggiando solo 2 dita sulla carta, con un movimento del braccio il più ampio possibile e rigorosamente urlando.

    Chiedo anche scusa se la fanfic è incasinata e ha troppi personaggi strambi. Ma è spuntata così nella mia testa, una storia di tante persone diverse che in modi particolari vengono "chiamate" (evocate?) all'avventura. Quando ho cominciato a scrivere mi sono subito reso conto di quanto fosse balzana la mia idea e DIFFICILE da raccontare, e probabilmente difficile da seguire anche per i lettori, purtroppo non sono riuscito a semplificarla, ogni tentativo anzi la complicava! Sono ahimé troppo CONTORTO! è un mio problema anche nella vita reale, forse questo è un modo per metterlo in scena ;)
    Se ti perdi (vale per qualsiasi lettore ovviamente) fermami! Alza il cartellino rosso, scopri Annulla Attacco, qualsiasi cosa, e magari posso fare un riepilogo dei personaggi e di cosa è successo fin ora. Mmmmmhhhh potrei metterne uno tra i capitoli 5 e 6, mi sembra un buon punto. Poi vedremo.

    Mi spiace per i nomi difficili da ricordare, ma pensa che Calvino ha scritto due romanzi con personaggi come Qfwfq e Kgwgk. Sì, sì, ok, lo so, io NON sono Calvino! Comunque li ripeterò con spiegazioni quando necessario, ad esempio "Si spalancò la porta e dietro c'era Giggiggino Tuttifrutti, il gelataio di via Pinzillaccheri, quello con il Tifone Spaziale Mistico sul grembiule". Hey, era solo un esempio, non c'è nessun Giggiggino Tuttifrutti in questa storia! Un esempio più realistico: nella prima bozza l'incipit del capitolo 2 era "Gianni Gemellini fece una pausa e scrutò l'orizzonte". Poi è diventato: "Sperduto in mezzo al mare sulla sua barca bianca, Gianni Gemellini fece una pausa e scrutò l'orizzonte" per ricordare al lettore chi diavolo è Gianni Gemellini.

    Lo so che è disorientante il fatto che non ci sia un protagonista chiaro, è la stessa cosa che pensavo guardando telefilm come "Lost" o il più recente "Once upon a time", anche se poi mi sono piaciuti molto (temo che questi cambi di scena risentano molto dell'influenza di queste moderne serie tv! Anche se avere "vicende corali" non è una novità in letteratura).
    Comunque un motivo c'è e le cose si chiariranno in seguito...
    Secondo te avere paragrafi di colore diverso può aiutare a dividere meglio le scene dei vari personaggi, o aggiungerebbe solo ulteriore confusione?

    Mi fa piacere che tu abbia gradito il duello in carrozzina, nella prima bozza era solo un paragrafo, poi ho pensato che andava reso più epico (a spese del realismo, ma spero che i veri esperti di sport paralimpici mi perdoneranno) e ho inserito anche la bandiera la cui sigla misteriosa verrà svelata nel capitolo 8.

    p.s. Anche se non ci saranno duelli, ci saranno mostri. Anche se non ci saranno duelli con le carte, ci saranno carte. Anche se nessuno scoprirà carte trappola, qualcuno in trappola finirà, come già l'indice dei capitoli preannuncia.

    p.p.s. A proposito di indice dei capitoli, mi aspetto che tu e DKG facciate un commento furioso e indignato sul titolo del capitolo 22 :P
    (uno scherzetto apposta per voi!)
     
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    p.p.s. A proposito di indice dei capitoli, mi aspetto che tu e DKG facciate un commento furioso e indignato sul titolo del capitolo 22
    (uno scherzetto apposta per voi!)

    malefico!
     
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    CAPITOLO 3 – Viale delle Palme

    300px-Copycat-DT06-EN-DNPR-DT (Copycat - il Copiatore)

    “Chi c***o sei tu piuttosto!” sbraitò uno dei sosia, Samuele Sartini, quello con i capelli tagliati più corti, che indossava una polo rossa. Intanto teneva stretto per il bavero l’altro sosia, Pietro Sanguineti, frangetta e camicia blu.
    “Non bastava un’amante a quella tr**a, siete in due?” proseguì Samuele “E come c***o fate ad essere uguali a me? Che scherzo di m***a è? Fuori da casa mia, bastardi!”
    Il sosia in camicia blu, Pietro, ne approfittò per divincolarsi e sferrare un pugno al volto del suo avversario. “Non dite str***ate, bastardi! Ridatemi la mia famiglia, ridatemi i miei figli, dove sono?!” urlava, con le lacrime agli occhi “Dove c***o sono? I miei bambini!”.
    Colpì Samuele un’altra volta, con una furia ancora maggiore, con una violenza tale da spaccargli uno zigomo.
    E fu allora che accadde.
    Non solo Samuele, ma anche gli altri due furono respinti all’indietro e percepirono il dolore, come se tutti avessero ricevuto un pugno al volto. Compreso Pietro, che era quello che aveva sferrato il colpo. I tre sosia si portarono le mani al viso e rimasero immobili per un po’.
    “Ma che sta succedendo?” domandarono contemporaneamente, e subito si zittirono, stupiti da quella simultaneità.


    La scala mobile era affollata di gente, così Mariano salì le scale normali facendo i gradini a due a due. Quando giunse in cima, colse il rapido svolazzo di un'inconfondibile gonna nera, ma la figura scomparve in un altro corridoio. Il biondino si diresse senza esitazione in quella direzione. Era incredibile che lei fosse proprio lì, il suo idolo, Pauley Perrette, per giunta vestita proprio come il personaggio che interpretava in televisione, "Abigail Sciuto". Eppure non si sbagliava, era lei, l'analista forense che dormiva (e non solo) nelle bare. Mariano sgomitava e si faceva largo tra urla e spintoni e ogni tanto la vedeva spuntare; evidentemente la gente era troppo impegnata nelle proprie faccende per riconoscere l'attrice famosa.
    Squillò il telefonino. Di nuovo quel numero sconosciuto. Lo lasciò squillare e riportò gli occhi sulla folla per cogliere la presenza dell'attrice con i codini e l'abbigliamento bizzarro: “Abby” si allontanava velocemente tra la folla, ma non l'aveva ancora persa. Il cellulare continuava a squillare: “Sometimes I feel / like I live in a dream / Alone in my paradise lost”.


    Sul Viadotto Primario della Tangenziale Don Sturzo c’era coda, e il taxi non sfrecciava più: avanzava a passo di lumaca. Bianca osservò il grande e sontuoso edificio antico alla sua sinistra.
    “Palazzo Graal” disse il giovanissimo tassista. Erano le prime parole che pronunciava da quando erano partiti. Sulla facciata (non del tutto visibile perché il viadotto passava a metà altezza del palazzo) era rappresentato un condottiero medievale che reggeva il leggendario calice. Bianca guardandolo ebbe un brivido, come un brutto, bruttissimo presentimento. I piccioni volavano intorno al palazzo: la ragazza pensò che mai dei volatili tanto comuni le avevano fatto più ribrezzo. Ricordò il sogno che aveva fatto quando si era appisolata sull’aereo.
    (Nell’incubo, si sentivano versi di colombo provenire da ogni direzione, ma i volatili non si vedevano. Erano in agguato. Il cielo era diviso in due metà, una blu-violacea e una giallo-rosso fuoco. Una donna dai capelli lunghi la guardava con un sorriso più enigmatico di quello della Gioconda. Anche la donna era divisa in due, come il cielo: chiara una metà, oscura l’altra. La donna aveva poi spiegato le sue grandi ali: una era bianca, ricoperta di penne e piume. L’altra ala era nera e membranosa, come quella di un pipistrello. Quella non era una donna. Era un angelo ed era un demone. Aveva le mani intrecciate in grembo e sopra di esse fluttuava un cuore rosso pulsante, ancora vivo…)
    Un sogno terribile. Doveva avere un significato, ma Bianca non sapeva quale.
    Poco dopo aver superato Palazzo Graal, il taxi uscì dalla Tangenziale.


    Nell'appartamento al 7 di Viale delle Palme, il tizio con la camicia bianca, Lino, disse “Uno alla volta” fece una pausa e tentò di guardare negli occhi gli altri due.
    Ma dovette voltare la testa: era impossibile sostenere lo sguardo dei suoi due sosia.
    “Io sono l’ingegner Lino Conca, proprietario di questo appartamento. Posso provarlo”. Prese il portafogli.
    Samuele, quello con la polo rossa, si guardò la mano che aveva passato sul suo zigomo dolorante: era macchiata di sangue. Stava per rispondere in malo modo e riprendere la lotta con gli altri due, invece fu stupito quando le parole gli uscirono pacate: “Mi chiamo Samuele Sartini e questa casa è mia e di mia moglie, Lucia Emanueli. Sono uscito un minuto fa e lei c’era, ritorno e ci siete voi due”.
    “Sono Pietro Sanguineti” disse il terzo, che ancora tremava e aveva la mano stretta a pugno. Il pugno era sporco del sangue di Samuele. Ma era il suo stesso sangue. “IO sono sposato con Lucia Emanuelli. Abbiamo due figli, Emma e Stefano. Stavano preparando la colazione, il latte è ancora sul fornello. Sono spariti. DOVE SONO FINITI, MALEDIZIONE!?”
    Tutti e tre avevano estratto i documenti. Le foto erano identiche, così come la data di nascita. Su tutti era indicato lo stesso domicilio, Viale delle Palme 7 interno 8. I documenti di Pietro e Samuele però mostravano come stato civile “Coniugato”, mentre Lino era celibe. Poi notarono un’altra differenza: Samuele era sposato con una certa Lucia Emanueli, Pietro con tale Lucia Emanuelli, con due L.
    “I miei bambini! I miei bambini!” urlò Pietro sempre più scosso e si precipitò in salotto a prendere il cellulare.
    Lino e Samuele sbirciarono nella stanza che era stata il loro studiolo, ma lo studiolo era scomparso: al suo posto c’erano due lettini, con le lenzuola rosa ed azzurre, e una montagna di peluche e altri giocattoli. Oltre che da quello, Lino era inquietato dalla presenza del letto matrimoniale nella camera di fronte. Sposarsi? Ma quando mai? Aveva una carriera a cui pensare.
    Pietro intanto aveva afferrato il telefonino e selezionato con mani tremanti la chiamata rapida a Lucia. Rispose una voce maschile: aveva sicuramente detto “Pronto?” ma non si capiva bene, c’era un sacco di rumore in sottofondo. Intanto era arrivato Samuele e aveva afferrato il braccio di Pietro, entrambi urlarono e sbraitarono che volevano Lucia, e dov’era Lucia, e cosa le hai fatto bastardo. In mezzo al rumore e ai brusii lo sconosciuto rispose che avevano sbagliato numero.
    Pietro, dopo un attimo di smarrimento, premette il pulsante di richiamata, ma suonava libero e nessuno rispondeva.
    Mentre aspettavano si guardavano intorno. Appesa ad una parete, in mezzo a due quadri, c’era una balestra di Gubbio di ottima fattura. Sul tavolo del salotto c’era una copia del “Milione” di Marco Polo. Nessuno dei tre riconobbe come propri né il libro né la balestra, ma nessuno osò chiedere di chi dei tre erano quegli oggetti.
    Lino prese in mano un portafoto: l’immagine mostrava un uomo e una donna abbracciati il giorno del loro matrimonio. Lo sposo avrebbe potuto essere benissimo lui, oppure Samuele o Pietro. L’ingegnere guardò la sposa e solo allora la riconobbe. La ricordava vagamente, era una che gli piaceva ma che gli aveva dato
    (Tempesta potente! Raigeki! Ookazi! Attacco diretto ai life points!)
    il due di picche. Buffo che avesse perfettamente presente la canzone preferita di quella ragazza, ma non il suo nome. Pensò che probabilmente si chiamava Lucia pure lei. Forse proprio Lucia Emanueli, o Emanuelli.
    [il nome ve lo dico io, cari lettori: non si chiamava Lucia ma Lidia, Lidia Emmanueli. Emmanueli con una L sola, ma due M]
    Sia Lino che Pietro che Samuele riconoscevano la donna nella foto, eppure non la riconoscevano: per ognuno c’era qualcosa che non andava. Per qualcuno era il colore degli occhi, per qualcun altro la forma del viso, per qualcun altro ancora il naso.
    Mentre ascoltava sconvolto il suono di libero, Pietro guardò il vaso che era al centro del tavolo. Fino a ieri c’erano tre papaveri rossi. Adesso erano rosa. Allungò la mano meccanicamente e ne prese uno. “Com’è possibile…” ma poi non disse altro: quando ti capitano in casa due sosia, i fiori che “scoloriscono” sono l’ultimo dei tuoi problemi.
    Fu Lino a fare la mossa successiva. “Ora basta. Voglio vederci chiaro in questa storia. Venite con me, andiamo” e afferrò le chiavi dell’auto dallo svuota-tasche.
    “A-alla polizia?” chiese Pietro, mentre senza pensarci metteva il fiore nel taschino della camicia blu.
    “Non avete sentito? In sottofondo, nella telefonata? Treno regionale per *** in arrivo al binario undici?”
    Non fu necessaria risposta. Ovviamente c’era una sola stazione dove passava il treno per *** e dove c’era un binario undici.
    La stazione centrale.
    Non fu necessaria risposta anche per un altro motivo: Samuele aveva finalmente capito perché la voce del presunto amante della moglie era così irritante. Perché era la sua: era come ascoltare la propria voce registrata.
    E Samuele odiava ascoltare la propria voce registrata.
    Era una cosa che gli dava sui nervi.
    Ovviamente dava sui nervi anche a Lino e Pietro.
    “Il problema sarà decidere chi dei tre deve guidare” pensò Samuele, come se quello fosse il loro principale problema. Odiava quando qualcun altro guidava la sua fedele Punto. Ed era sicuro che lo odiassero anche Lino e Pietro.

    Mentre tutto questo accadeva, il Quarto Viaggiatore, cioè il ragazzo con la formula sulla maglietta, cioè “Occhi”, pensava: “5-5-4-5-5-8. Vento Acqua Luce Terra Fuoco Oscurità. Questo è il mio mantra e continuerò a ripetermelo. I sei elementi – i sei attributi – e il numero delle lettere di ognuno, in un ordine scelto da me. Ho perso il mio nome e non ricordo dov’è la Porta, ma finché ho il mio mantra non cederò all’Omologazione. Non diventerò Pepo Occhi come l’Omologazione desidera.”
    La tempesta incombeva minacciosa, mentre sotto il cielo azzurro il fuoco divorava i palazzi più antichi, i cani alsaziani fiutavano l’aria inquieti, Bianca pagava il giovane tassista e davanti al 7 di Viale delle Palme un seggiolino imbottito rosa rotolava, scaraventato a terra, mentre la Punto grigia partiva a tutta velocità
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    Edited by FantasmaDelPassato - 26/5/2015, 22:08
     
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    Bellissima la vicenda dei tre sosia ed è anche azzeccato che tutti e tre non siano proprio identici, ma che uno sia, per esempio, celibe... rende tutto più interessante ;) quindi Lucia sapeva di essere sposata con due uomini identici, ma diversi: grande tr**a

    certo che come stile di scrittura mi dai le piste... continua così (ma cosa dico, l'hai già finita)
     
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    No no, Lucia non è una tr**a, è che sono due Lucia ... anche loro uguali ma leggermente diverse ;)

    p.s. Ho detto che l'ho QUASI finita, non proprio finita del tutto....

    Edited by FantasmaDelPassato - 12/1/2013, 12:11
     
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    CITAZIONE (FantasmaDelPassato @ 12/1/2013, 10:50) 
    No no, Lucia non è una tr**a, è che sono due Lucia ... anche loro uguali ma leggermente diverse ;)

    ecco vedi che non ho capito nulla :)
     
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    No, non è colpa tua, sono io che sono contorto!
     
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    Ho fatto una modifica al capitolo 3 per cercare di chiarire meglio la questione di Lucia (o di complicarla ulteriormente?). Ho anche anticipato lì un dettaglio che doveva stare nel capitolo 5, così aggiungo ulteriore confusione introducendo Lidia, oltre a Lucia. Ho fatto anche un'altra piccola piccola modifica ai cap 1, 2 e 3 che riguarda Mariano.
     
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    CITAZIONE (FantasmaDelPassato @ 12/1/2013, 19:18) 
    Ho fatto una modifica al capitolo 3 per cercare di chiarire meglio la questione di Lucia (o di complicarla ulteriormente?). Ho anche anticipato lì un dettaglio che doveva stare nel capitolo 5, così aggiungo ulteriore confusione introducendo Lidia, oltre a Lucia. Ho fatto anche un'altra piccola piccola modifica ai cap 1, 2 e 3 che riguarda Mariano.

    ora si che è tutto più chiaro.... o forse no :)

    al prossimo capitolo!
     
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227 replies since 7/1/2013, 22:51   3207 views
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